“Abyssus abyssum invocat”, dice la Bibbia nel Salmo 42, che tradotto significa: un male ne chiama un altro, una guerra ne provoca un’altra, vendetta genera vendetta e così via. Avvenimenti diventati quotidiani purtroppo, specie di questi tempi, talmente incomprensibili e assurdi da definirsi per l’appunto “kafkiani”. Questo vocabolo viene spesso usato a proposito di un fatto allucinante, di un avvenimento così incredibile da sembrare pazzesco e si rifà all’atmosfera tipica dei racconti di Kafka. Sì, ma chi era questo Kafka?
Lo spiegheremo in due parole, senza peraltro addentrarci nella sua biografia.
Franz Kafka è stato uno scrittore boemo nato a Praga (1883-1924) che, attraverso i suoi conflitti personali e quelli con la sua famiglia e la società, ha voluto narrarci le angosce e le inquietudini degli uomini del suo tempo.
Un Fantozzi ante litteram, insomma, tanto per capirci.
I suoi romanzi più famosi sono due: La Metamorfosi e il Processo.
Nel primo, “La metamorfosi”, racconta la storia di un commesso viaggiatore di nome Gregor che un bel giorno, anzi, un brutto giorno si addormenta e si risveglia al mattino trasformato in un orrendo, enorme scarafaggio. Con tutto quello di assurdo e di inquietante che ne consegue quando egli decide ugualmente, seppur a malincuore, di scendere dal letto e presentarsi prima ai suoi in famiglia e poi al lavoro dal capo ufficio. Il povero Gregor/Fantozzi, ridotto ad un insetto schifoso, rappresenta il simbolo massimo di alienazione e di spersonalizzazione!
Il secondo romanzo si intitola “Il Processo”. Qui il protagonista è un impiegato di banca di nome Josef che, proprio nel giorno del suo trentesimo compleanno, viene svegliato da due uomini che lo dichiarano in arresto per non si sa bene quale crimine. E anche durante tutto il processo il capo d’accusa per cui è stato arrestato continua ad essergli sconosciuto, fino a concludersi addirittura con una sentenza di condanna a morte. Ancora una dimensione da incubo, davvero kafkiana, in cui un povero cristo si trova ad essere imprigionato negli incomprensibili cavilli burocratici di un’entità statale superiore, oscura e inconoscibile.
Insomma, avete capito che angoscia e alienazione la fanno da padrone nella vita e negli scritti di questo autore, un po’ come il “pessimismo cosmico” del nostro Leopardi. Per fortuna che di questa figura “kafkiana” chiusa ed introversa conosciamo anche dei lati e dei sentimenti meno tristi e oscuri, vedi ad esempio il suo pensiero sulla giovinezza. Diceva infatti: “La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza”. E meno male che lo diceva lui!