L’inverno scorso mi è capitato di soggiornare ad Arezzo, la città di Piero della Francesca, in una casa-torre restaurata. Non vi dico l’emozione: sia per il panorama che si godeva dalla terrazza, sia per il fatto di sapere che stavo vivendo in un pezzetto di medioevo aretino, arroccato com’ero all’ultimo piano di un palazzetto storico del ‘300. E’ in quest’epoca, infatti, che le case torri diventano simbolo di potere e di visibilità in quanto, possedere una torre alta, significava essere visti e vedere da ogni angolo della città, testimoniare la propria influenza sulla vita cittadina, avere un punto strategico di osservazione, di segnalazione e di difesa dall’alto.
La casa torre solitamente era dotata di un pozzo per l’acqua, un cortile ed un rimessaggio per animali e mezzi. L’accesso al proprio interno presentava uno o più archivolti recanti lo stemma araldico del signore, abbastanza spaziosi da permettere l’ingresso a cavallo, ben sigillati da imponenti portali quando necessario. Le mura erano spesse, atte alla difesa e le piccole finestre protette da inferriate. Quando una città veniva espugnata le prime naturalmente a farne le spese erano le case torri che venivano prese d’assalto dai nemici, incendiate, scapitozzate o addirittura smantellate del tutto. E’ il caso di Siena, ad esempio, una volta conquistata da Firenze.
Nel Medio Evo le famiglie nobili facevano, dunque, a gara a chi costruiva la torre più alta per manifestare il proprio potere e, in caso di rivalità con le altre principali famiglie cittadine, queste case-torri diventavano un primo rifugio sicuro, un baluardo difensivo estremo fino a quando non si decideva di sfuggire all’assedio dei nemici attraverso cunicoli segreti sotterranei.
Così nascono le strutture imponenti che ancor oggi ammiriamo, come San Gimignano ad esempio, attualmente la città turrita meglio conservata dell’Italia centrale, meta di turisti da tutto il mondo, dove la torre del Podestà raggiunge i 54 metri di altezza. A Bologna la torre degli Asinelli arriva a ben 97 metri di altezza, mentre altre torri superano i 70 metri! Ma anche a Padova, in quell’epoca, non si scherzava, tanto che le cronache del tempo parlano di una selva di torriche abbellivano la città. Per constatarlo basta andare al Santo e ammirare il magnifico dipinto di Giusto de’ Menabuoi nella cappella Conti, che praticamente “fotografa” la nostra città-turrita com’era nel ‘300. La cappella si trova subito dopo la tomba del Santo, sulla sinistra, a lato della cappella della “Madonna Mora”.
Nelle foto vediamo le ultime due case-torri di Padova: una casa-torre nella zona del ghetto, al civico n.10 che fa angolo con via Gritti, appartenuta ai conti da Baone, oggi completamente trasformata e pressoché irriconoscibile, ed un’ altra all’inizio di via Dante, in direzione Ponte Molino, appartenuta alla famiglia di Dotto Dauli, ora Da Rio.