Vicino all’argine del Bacchiglione c’è una fattoria piena di animali, asini, caprette, galline, oche, conigli, mucche ma anche tante belle casette delle api. Ogni casetta delle api, che si chiama anche arnia costituisce un piccolo paese con un’intensissima vita sociale. Ogni casetta delle api è in pratica un piccolo regno con la sua ape regina, che depone le uova, le api soldato che difendono il regno dai nemici, le api nutrici che seguono la regina, alimentano le covate delle larve e sono anche delle specie di bambinaie oltre che essere delle attente domestiche a servizio della regina e della deposizione e cura delle uova, nonché le organizzatrici della vita dell’alveare. Poi ci sono le api spazzine che curano la pulizia e l’igiene dell’alveare, ed anche quelle che producono la cera per costruire le cellette in modo che l’alveare possa espandersi ed infine i maschi grossi e tozzi che mangiano molto e servono a poco. Hanno il solo compito di festeggiare le nozze con la regina durante un bel volo nuziale e poi dall’emozione perdono persino il senso dell’orientamento e non fanno più ritorno a casa.
Insomma l’alveare è un mondo vivo e complesso come un orologio ove ognuno deve fare esattamente la sua parte con disciplina. Ma anche lì c’è sempre qualcosa da ridire, perché sembra che anche nel mondo delle api ci sia chi lavora tantissimo e chi invece batte la fiacca, non solo tra le api operaie ma anche tra le api soldato, le spazzine, le ceraiole ecc.. Anche qui val sempre quel detto che “val depì un bel far che zento a comandar!“
Ma il sistema è così ben ordinato che è in grado, a volte, di correggersi anche da solo. Per esempio se la Regina è troppo vecchia e non depone più molte uova le operaie alimenteranno a dosi massicce di pappa reale una nuova larva ed essa si trasformerà dopo alcuni giorni in regina e guai in vista per la vecchia regina se non lascia subito il campo alla nuova arrivata. La nuova la scaccerà immediatamente e l’alveare avrà assicurato il ricambio e le api dell’alveare festeggeranno la nuova regina con ancora più lavoro di buona lena entro l’alveare.
Tra le varie arnie ve n’era una più attiva delle altre. La casetta ospitava un alveare che era una meraviglia dell’abbondanza. Produceva il doppio del miele degli altri alveari posti nelle vicinanze. Le api operaie arrivavano in continuazione durante la bella stagione e comunicavano con una bella danza davanti all’alveare dove avevano trovato grandi quantità di fiori verso l’argine, verso il parco, verso i prati che costeggiano il Bacchiglione. L’alveare poi veniva rifornito in abbondanza di acqua data la vicinanza del fiume.
Era uno spettacolo vedere quell’alveare! Mentre gli altri erano sempre silenziosi, dentro a quell’alveare si sentiva un ronzio continuo, che sembrava un continuo rusamento come in una fabbrica di motori. Ci provarono anche i nemici ed infatti diverse volte dei calabroni grossi e tozzi striati di colore giallo e nero tentarono di aggredire le api soldato davanti l’arnia per rubare il miele e poi magari entrare nell’alveare e saccheggiarlo, ma non ci riuscirono. Le api di guardia chiamarono i rinforzi ed in un lampo le api soldato uscirono, tutte circondano il calabrone da tutte le parti in massa e lo soffocarono, anche se il calabrone è più grosso di loro. Sono stato tante volte a guardare l’alveare e fuori dal predellino molto spesso vedevo calabroni morti, che avevano tentato l’attacco nel solito modo, ma la difesa delle api era insuperabile.
L’alveare era così ricco di miele, di pappa reale, di cera, di propoli, che alcune operaie per risparmiare fatica, invece di andare a trovare il polline sempre più lontano, pensarono bene di fare meno fatica ed andare invece a prendere il miele già fatto dentro ad un alveare vicino. Un alveare infatti, che era sfuggito ai controlli dell’apicoltore, si trovava in un boschetto lì vicino e comodo alla nostra arnia. Era facile entrare in quell’alveare perché aveva un foro sull’albero molto grande, le api soldato non c’erano. Le altre erano poche disattente e malnutrite, l’ape regina era molto vecchia per le api perché aveva già la bellezza di cinque primavere e sembrava un regno ormai in disfacimento.
Le api operaie entravano senza far fatica in quell’alveare così malmesso. Facevano una bella scorpacciata di miele saccheggiando facilmente ed impunemente i favi di miele frutto del lavoro delle altre api invece che fare tanta fatica a raccogliere un granellino di polline alla volta da ogni fiore. Portavano poi all’alveare nelle loro sacche rigonfie il miele sottratto e l’alveare aumentava di api e di forza. Ma un brutto giorno il vecchio detto del “chi no se contenta dell’onesto perde el manego e anca el sesto “ trovò altra conferma anche per le api.
Le api operaie saccheggiando l’alveare vicino portarono dentro all’alveare delle spore di una brutta malattia: la peste delle api. Si tratta di una brutta malattia insidiosa e di un nemico invisibile per le api che nessuna ape soldato può bloccare. La spora si alimenta ed infetta le cellette delle nuove deposizioni ed un po’ alla volta si espande il contagio uccidendo le nuove nate e facendo un odore nauseante di marcio. Forse era anche per questo che quell’alveare era così malridotto, era un alveare ammalato.
Si accorsero le api spazzino, dopo qualche giorno dal contagio che improvvisamente nel pieno fulgore dell’estate, che le cose non andavano più così bene e si sacrificarono immediatamente per pulire, per spazzare l’alveare dal male, per portare fuori dalle celle le larve morte, ma fu tutto inutile. Il contagio si estendeva continuamente. L’apicoltore visto il disastro tentò anche di intervenire con il fuoco e con l’acqua calda ma fu tutto inutile.
Capito il problema allora una giovane regina preparò alla disperata uno sciame che si fermò sui rami di un melo. L’apicoltore se ne accorse, raccolse il nuovo sciame su una casetta nuova di zecca, pulitissima ed il nuovo alveare ricominciò a funzionare preparandosi le provviste per il duro inverno e la vecchia casetta ormai abbandonata e infetta fu bruciata in un rogo.
La nuova ape regina era una saggia, che in breve riuscì a ricostruire un bell’alveare e ricordandosi della vicenda diceva ad ogni nuova nata prima che incominciasse a volare questo racconto che finiva sempre con una raccomandazione:
Ricordati che se conosci te stesso ed il nemico vincerai tutte le battaglie, se invece conosci solo te stesso o solo il nemico vincerai qualche battaglia se non ti conosci e non conosci nemmeno il tuo nemico ed i suoi pericoli non vincerai mai nessuna battaglia”.
Ebbene dopo tanti anni quell’alveare è ancora lì bello, vicino al Bacchiglione e alla golena, ricco d’estate e tranquillo d’inverno e non si è più ammalato né ha più saccheggiato gli altri. Che anche le api abbiano imparato i proverbi?
2 risposte
Davvero c’è sempre da imparare: noi dalle api e loro da noi…qualche rara volta. Bravo Leone, il saggio!
Bello il racconto delle api; interessante, Diego De Santi.