Fino al 1300 circa, l’organizzazione militare della Serenissima era incentrata sulla flotta e sui corpi militari ad essa legati: Arsenalotti, Schiavoni e Fanti da Mar. Quando però la Repubblica marinara incominciò a mettere gli occhi sulla Terraferma dovette giocoforza organizzare anche un esercito “de tera” facendo leva soprattutto su forze mercenarie. Nel Trecento furono gli scontri con gli Scaligeri di Verona ed i Carraresi di Padova a dominare la scena bellica, tanto più che questi ultimi avevano osato stringere alleanza nientemeno che con Ungheresi e Genovesi, nemici acerrimi di Venezia. In particolare la guerra Carrarese, pur essendo costata più di due milioni di ducati, fu fondamentale in quanto trasformò definitivamente la repubblica marinara in potenza territoriale, con tanto di esercito composto da cavalleria, fanteria e artiglieria. Nel 1405 però, impadronitasi di Padova e strangolato il traditore Francesco Novello assieme a tutti i suoi diretti discendenti (“omo morto non fa guera”), si credette di poter licenziare l’esercito mercenario impiegato per la conquista della città ma, dopo appena sei anni, ecco di nuovo affacciarsi un altro e più temibile pericolo, quello ungherese. In gran fretta furono inviati reclutatori in tutta Italia e un ragguardevole esercito di dodicimila soldati poté essere schierato lungo la linea del fiume Livenza, in Friuli. Fu in quel frangente che Venezia capì la lezione e, nonostante le spese militari non indifferenti, offrì a molti condottieri arruolati “pro tempore” di prestare servizio permanente sotto il gonfalone di San Marco.
Non passano quindici anni ed ecco che è Filippo Maria Visconti, duca di Milano, a presentare il conto: vogliono riprendersi Brescia ed i castelli fortificati circostanti. Il comando dell’esercito fu allora affidato a un capitano di ventura che i Visconti li conosceva bene avendo in precedenza militato per loro, Francesco Bussone meglio conosciuto come il conte di Carmagnola, ricordato anche dal Manzoni nella sua prima tragedia. Lo scontro in campo aperto avvenne nel 1427 a Maclodio, in provincia di Brescia, e per l’occasione Venezia schierò in campo ben ventiduemila cavalli, ottomila fanti e seimila miliziani. Per i Milanesi fu una disfatta totale.
Come avrete ben intuito alla vigilia di ogni guerra partiva una “campagna acquisti” per accaparrarsi i migliori comandanti del momento fra cui, dopo il Carmagnola finito decapitato per sospetto tradimento, i ben noti Colleoni e Gattamelata oltre naturalmente alle migliori lance e ai migliori bombardieri, proprio come si fa oggi con i giocatori di calcio. D’altronde, si sa, il termine soldato deriva proprio da lì, dall’essere “assoldato”, cioè al soldo di qualcuno.
Ma anche lungo le sponde dell’Adriatico e dell’Egeo non è che si potesse stare tranquilli e il pericolo turco era sempre minaccioso alle porte, anche se con alterne vicende: una volta erano i Veneziani a spingersi fino in Grecia, nel Peloponneso, per proteggere le proprie rotte commerciali, un’altra i Turchi ad occupare le coste dalmate, su, su fino ad arrivare alle porte di Motta di Livenza, in Friuli. E fu durante una di queste incursioni che i Provveditori veneziani incominciarono ad apprezzare l’impiego dei cosiddetti “stradioti”, soldati mercenari albanesi la cui bravura come cavalleggeri era pari alla loro ferocia, mentre in Dalmazia si incominciarono ad arruolare le “Craine”, milizie contadine territoriali al pari delle “Cernide” Venete.
Arriviamo così agli inizi del ‘500 e gli appetiti di Venezia in Terraferma, specie sui territori pontifici delle Romagne, mettono in allarme gli Stati confinanti, italiani ed europei. La Francia torna a far valere i suoi diritti per via ereditaria sul Milanese, comprese Brescia e Bergamo; Massimiliano d’Austria vuole indietro Verona, Vicenza, Padova e tutto il Friuli; il Papa guerriero Giulio II rivendica con forza Rimini e Ravenna; perfino il regno di Napoli pretende il controllo dei porti di Otranto e Trani nella penisola Salentina. Insomma, si forma la famosa Lega di Cambrai del 1508 dove tutti si mettono d’accordo sottobanco per annientare la Repubblica e spartirsi il bottino. Per Venezia si trattò di una vera guerra “mondiale” e l’anno successivo, dopo i primi successi iniziali, subì ad Agnadello, in provincia di Cremona, una delle più pesanti sconfitte della sua storia. Gran parte dei territori andarono perduti e i suoi nemici arrivarono fino alle porte di Mestre, ricacciandola praticamente in mare da dove era venuta. Ma non avevano fatto i conti con la ferrea volontà di rivincita dei Veneziani e la riconquista partì quasi subito, favorita dall’appoggio dei contadini nelle campagne venete che al grido di “Marco, Marco” rendevano la vita impossibile agli imperiali. Per fortuna i domini da mar erano rimasti intatti così come l’erario, e il rapido rimescolarsi delle alleanze nello schieramento avversario fecero il resto. Dopo neanche una decina d’anni la Dominante tornò quella di prima ma aveva imparato la lezione e da allora non affiderà più la sua difesa a eserciti occasionali in marcia ma a truppe stanziali ed in guarnigioni ben protette. A Occidente nascono le fortificazioni di Peschiera, Verona, Legnago (cui nell’800 l’Austria aggiungerà Mantova, ed ecco il Quadrilatero), mentre sul fronte Orientale sarà Palmanova ad assicurare i confini contro Turchi ed imperiali. Un esercito di quasi trentamila effettivi vigilerà per più di due secoli sulla sua indipendenza e neutralità creando in tutta Europa il mito di città libera e tollerante, oltre che ricca e gaudente e tale riuscì a mantenersi fino all’arrivo di Napoleone nell’anno infausto del 1797. Ma questa è un’altra storia.
(Fonti: Tesi di Laurea presso il Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università di Padova del neo dottore Leonardo Salata )