Nei miei ricordi di ragazzo rientra anche l’ avventurosa figura del gainaro. Detta così la cosa sembra semplice, il gainaro altro non è che colui che comprava e commercializzava le galline vive, le uova ed il pollame in genere. Ma la storia locale racconta ben altro. Io ho visto più che conosciuto una figura mitica di gainaro. Il Gainaro con la G maiuscola che ho visto io all’opera era un uomo sanguigno, senza scrupoli, camicia aperta, villoso, catena d’oro al collo, robusto e parlava con voce cavernosa che faceva paura a noi ragazzini, una parola e tre bestemmie. Ma aveva il suo fascino, il fascino dell’avventuriero. Voi dovete sapere che “el Gainaro” aveva sempre l’ultimo modello di Alfa Romeo in un momento nel quale l’auto non ce l’aveva praticamente nessuno. E guidava e correva con la mitica Alfa come un esperto pilota da rally lungo le strade di ghiaia e piene di buche che allora esistevano nei nostri paesi. Girava sempre indaffarato, per affari andava a visitare famiglie ed allevamenti e comprava le galline specie se ammalate e meglio se moribonde oppure ovaiole che avevano smesso di deporre le uova e le faceva caricare in camion pieni di gabbie e le portava nella sua bella casa – fattoria. A casa aveva operai ed una schiera di macellai che tiravano il collo alle galline e una schiera di giovani donne robuste che “broavano” le penne delle galline immergendole in acqua bollente e poi le spennavano con le mani. Successivamente i macellai le pulivano, le sezionavano in pezzi ovvero le preparavano per la vendita nelle macellerie, ristoranti ecc. Anche se molto redditizio il mestiere del gainaro era un lavoraccio sporco e puzzolente.
Il nostro Comune però era pieno di allevamenti di polli e galline familiari o meno. Non c’era fattoria che non avesse il suo bel ponaro con le galline, i galli, capponi, quaglie, tacchini, oche, anatre ecc.
Passava el gainaro dalla fattoria, contrattava con la vecia e si accaparrava le galline con fare padronale e spesso imprecando sul prezzo richiesto, faceva sempre la mossa di andarsene poi ritornava prendeva una gallina in mano le soffiava sul culo e poi esclamava: “Ma no te vorè mia schei pa ste gaine che e xe’ tute morte”. Però in base al detto chi disprezza compra alla fine comprava o meglio si incaparava le galline versando un anticipo in denaro ed i giorni successivi arrivava il camion a caricarle. Per il saldo del prezzo poi c’era tempo, passava lui quando non aveva nulla da fare.
El gainaro era disprezzato in paese perché arrogante, spaccone e per la fama sinistra che circondava la figura di tutti i gainari. Si narra infatti che i gainari comprassero le galline rubate ossia fossero dei ricettatori. Narrano che nella zona delle Ardoneghe di notte ci fosse gente che girava in bicicletta con sacchi di galline pronte per la consegna al gainaro al far dell’alba. Il furto delle galline era la cosa più facile che potesse capitare ai quei tempi e per questo vigilavano i cani della fattoria ma spesso non bastavano nemmeno quelli.
Ma il motivo della passione strepitosa del Gainaro per le auto veloci e di grossa cilindrata era dato dal fatto che el Gainaro era spesso inseguito dai dasiari. Una vicenda come quella di Gatto Silvestro e l’uccellino Titti o se preferite il coyote e beep beep.
Spesso davanti alla casa fattoria macelleria e magazzino del gainaro stazionavano degli strani figuri, che noi non conoscevamo. Noi ragazzini ci impiegammo molto a capire chi fossero questi personaggi strani, che osservavano spesso anche con i binocoli la casa del Gainaro. E costoro molto spesso quando lui usciva per strada con l’Alfa, lo rincorrevano e cercavano di fermarlo. Lui li batteva in velocità in mezzo ad una scia di sassi e polvere. Altre volte si fermava di scatto e gli guardavano nell’auto per vedere se avesse qualcosa. Aprivano le portiere, il bagagliaio posteriore, il cofano come una specie di perquisizione. Solo dopo anni ho imparato come funzionava il dazio ed i suoi controllori ossia i daziari.
Il dazio era un’imposta comunale, che si pagava sulle carni e su molti prodotti di consumo nella fase della messa in consumo del prodotto, ossia tra la produzione e la commercializzazione. Era un’imposta antica e che fu mantenuta, chiamandola in un altro modo, ossia imposta comunale di consumo anche dopo l’ultima guerra mondiale e serviva per finanziare i comuni.
I comuni che non riuscivano riscuotere l’imposta in proprio la appaltavano ad apposite società, che avevano i loro agenti , ossia quelli che chiamavamo i daziari.
Il dazio si pagava quando la merce arrivava a casa. Dovevi chiamare il daziaro entro 30 minuti dall’arrivo della merce ossia le galline, lui verificava la merce e ci poneva un sigillo con un piombo o un timbro violaceo sulla carne come segno di riconoscimento delle merci che avevano pagato la tassa. Era un’imposta molto evasa e molto odiata perché si pagava sul porseo, sulla farina, sui materiali di costruzione, sul vino ecc. ed il meccanismo di esazione era di tipo medioevale, bisognava bloccare la merce, controllarla, tassarla, riscuotere la tassa ed applicare, se fosse il caso, delle sanzioni stratosferiche.
El Gainaro però il dazio non lo pagava mai. Pertanto el Gainaro era sempre inseguito dai daziari del Comune sino al confine comunale ma passato il confine ossia verso Salboro, Voltabarozzo o Camin ecc. el Gainaro veniva inseguito da quelli padovani che avevano i loro caselli daziari al Bassanello, alla Volta, all’Arcella ecc.
Ma el Gainaro era mitico si fermava quando l’auto era vuota e correva invece come un matto quando l’auto era piena di pollame da recapitare alle macellerie sotto il Salone.
L’attività di commercio e preparazione del pollame evidentemente rendeva perché in pochi anni el Gainaro con il suo fare arrogante aveva comprato case, negozi, terreni, macellerie, camion, allevamenti aveva cioè fatto i soldi e facendo i soldi era diventato ancora più arrogante. Il ricco infatti disprezza il povero e viene ripagato in egual moneta. C’era un detto in tutto il veneto per qualificare uno furbo e un po’ imbroglione: “ocio l’è un gainaro ! “.
Ma poiché la fortuna non è mai eterna un bel giorno arrivò la riforma tributaria entrata in vigore tra il 1972 e 1973. Fu introdotta sui consumi un’imposta completamente diversa dal dazio ed armonizzata all’’Europa basata sul valore aggiunto, sulla contabilità e non sulla rincorsa del Gainaro alle merci. La nuova imposta si chiama IVA Imposta sul valore aggiunto ed i daziari non poterono più appaltare nulla, cambiarono lavoro, qualcuno fu assunto dal Comune o dalla Provincia, altri divennero disoccupati .
I comuni vennero finanziati dallo Stato e quel mondo fatto di timbri, dazi, piombi e bollete, marche lo abbiamo ben presto dimenticato.
E che fine ha fatto el Gainaro? Ben non solo lui… come in una vicenda di guardie e ladri se viene meno uno dei due personaggi finisce la storia. Con l’Iva le galline del Gainaro costavano come le altre, i grandi guadagni erano finiti, cominciarono le importazioni massicce di pollame dall’Olanda a prezzi più vantaggiosi. Non era più conveniente spennare le galline. Anche el Gainaro non assunse più personale e operai, la catena di smontaggio delle galline si fermò e siccome era abituato a spendere e spandere come negli anni dell’abbondanza in breve divenne da ricco benestante a modesto commerciante e poi povero bottegaio ed allora anche l’arroganza venne meno e si ridusse a vendere castagne in piazza dei Signori.
Anche l’Alfa nel frattempo non correva più come prima, era entrata in crisi, aveva fatto l’Alfasud, che diventava ruggine subito appena comprata.
Leone Barison