Da ragazzo, quando frequentavo la scuola media, mi davano da tradurre brani di latino tratti dal “De bello Gallico” di Giulio Cesare, la campagna militare da lui condotta per la conquista della Gallia, l’odierna Francia. E una cosa fin da allora mi aveva sempre incuriosito, quella cioè di trovare in questo suo diario di guerra, composto da sette libri, anche una battaglia contro i Veneti. Sì, proprio loro, “contra Venetos”, una tribù dell’attuale regione della Bretagna. Ma che diavolo ci facevano i Veneti lassù, direte voi, in quel lembo di terra fra il canale della Manica e l’oceano Atlantico? Ed è quello che mi sono spesso chiesto anch’io, solo più tardi ho capito che la grande migrazione degli Enetoi partiti dalla Paflagonia, in Turchia, dopo la guerra di Troia, secondo gli storici si
sarebbe divisa in tre rami migrando alcuni nella parte orientale della pianura padana, altri proseguendo verso occidente lungo il corso della Loira fino all’oceano Atlantico, altri ancora verso il Nord Europa fino al golfo del mar Baltico, in Polonia, non per nulla segnalato nelle vecchie mappe dell’epoca come “Sinus Veneticus”. Affascinante no?
Cesare, in Gallia, si trovò ad affrontare una miriade di tribù e di capi più o meno famosi, nelle m
ie traduzioni ricordo Ariovisto, re dei Germani e Vercingetorige, indomito capo degli Alverni immortalato nei fumetti di Asterix e Obelix. Quanto ai Veneti essi vengono descritti come un popolo di grandi navigatori che con le loro navi sanno affrontare l’oceano meglio di qualunque altro, tanto che molti abitanti delle coste versano loro tributi. I loro commerci di carni salate, di stagno, piombo e rame si estendono dalle Isole Britanniche all’Italia, da cui seppero diffondere il vino e l’olio. Insomma, un popolo ricco e indipendente che a tutto pensava fuorché essere costretto a pagare tributi a Roma. E Cesare, alla prima ribellione, visto che per terra era troppo insidioso, decise di affrontarli per mare in uno scontro navale. Nell’estate del 56 a.C. la flotta romana si diresse verso il golfo Venetico contro la flotta dei Veneti che era composta da ben 220 navi costruite in robusto legno di quercia. Dopo un lungo combattimento, durato dalle dieci del mattino fino al tramonto, la vittoria arrise ai Romani grazie ad un ingegnoso stratagemma che comportava l’uso di falci affilate in cima a delle lunghe pertiche, con le quali i soldati tagliavano le corde delle vele issate sulle navi nemiche, immobilizzandole. Alla fine i Veneti superstiti tentarono invano di mettersi in salvo con il resto della flotta ma una bonaccia improvvisa li bloccò completamente e vennero catturati. Con questa vittoria navale Cesare si assicurò in tal modo la resa di tutte le città venete della Britannia.
E oggi cosa rimane a ricordo di quell’antico popolo? Rimane la bella città di Vannes (in bretone Gwened) di 55.000 abitanti, capoluogo del dipartimento del Morbihan e non per nulla i suoi abitanti si chiamano Vannetais dal nome di quel fiero popolo celtico della Gallia di cui abbiamo parlato: les Vénètes.