Se voi andate a cercare questa parola, bizantinismo, su qualsiasi vocabolario troverete che si tratta di una tendenza a dilungarsi in eccessive sottigliezze nel ragionamento, oppure di un groviglio di complicazioni burocratiche talmente inestricabili che non a torto chiamiamo anche “cavilli”.
Certo è che l’etimologia proviene dall’antica Bisanzio, poi Costantinopoli, capitale dell’impero romano d’oriente, alla cui corte vigeva un cerimoniale talmente complicato da apparire a dir poco assurdo e incomprensibile. Se poi aggiungiamo le infinite dispute teologiche ivi sorte a proposito della natura del Cristo dopo la sua morte il gioco è fatto. Tant’è che fu l’imperatore Costantino stesso, quale geloso custode dell’unità religiosa nel suo impero, a proclamarsi addirittura “vescovo laico” e a convocare il famoso concilio di Nicea nel 325 d.C. per far stabilire ai vescovi lì radunati un unico “credo” universale. Quel credo che recitiamo ancora oggi che dice espressamente del Cristo essere:”…generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”.
infatti, nel secondo e terzo secolo avevano cominciato a circolare troppe versioni diverse sulla figura di Gesù: vero uomo, vero Dio, o tutte e due le cose insieme? E quando un vecchio prete di Alessandria d’Egitto di nome Ario si mise a predicare che il Cristo non era Dio incarnato ma solo una sua “creatura” venne bollato come eretico. Da qui trasse poi origine l’eresia dell’arianesimo che ebbe molti seguaci e provocò non pochi contrasti e guerre con le chiese latine legittime.
Ma in quanto a bizantinismi i teologi bizantini più accaniti non si fermarono qui.
Narrano le cronache che mentre erano assediati da Maometto II essi continuavano a disputare sul sesso degli Angeli, se erano maschi o femmine o magari semplicemente del tutto asessuati. Oppure si chiedevano se il Cristo fosse seduto alla destra del Padre o se ne stesse rispettosamente in piedi. E anche se nell’Ostia consacrata Egli fosse presente con tutto il suo corpo oppure solo con il suo spirito e si trattasse quindi di un fatto meramente simbolico, di una semplice commemorazione dell’ultima cena. Dottrina che, molti secoli dopo, sarebbe stata abbracciata dal Luteranesimo.
Alla fine di un lungo assedio il 29 maggio 1453 l’antica Costantinopoli venne espugnata e in nome del loro dio clemente e misericordioso i turchi menarono un’orribile strage massacrando l’ultimo imperatore della Seconda Roma Costantino XI, la sua famiglia, i difensori e i notabili di corte. Il sultano Maometto II “Il conquistatore” ordinò che solo i popolani fossero lasciato vivi per essere fatti schiavi e sfruttati nel lavoro.
Insomma, avete ben capito il perché di questo termine! Allorquando ci perdiamo in sottigliezze troppo minuziose e in lungaggini astratte che poco o nulla hanno a che fare con le contingenze della realtà, usando argomenti di…lana caprina pur di tirare in lungo un ragionamento, ecco, allora facciamo come i bizantini: “Meniamo il can per l’aia” inutilmente, senza mai venire al dunque.
A questo proposito mi vengono in mente le dure parole del cardinale Pappalardo “scagliate” dal pulpito durante i funerali del generale Dalla Chiesa ucciso a Palermo nel settembre del 1982:”Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur”. Mentre a Roma si chiacchiera sul da farsi la città di Sagunto (nella Spagna romana) viene espugnata (dai Cartaginesi). Era una citazione del nostro storico patavino Tito Livio, di estrema attualità anche oggi! Applicabile a tutti i livelli del vivere civile, abituati come siamo a disquisire su tutto, a parlare senza concludere granché, buoni ad arrampicarci sugli specchi pur di avere ragione, salvo poi…chiudere la stalla quando i buoi sono ormai scappati!