(Gita all’isola di S.Lazzaro degli Armeni con la Pro Loco di Ponte e Bovolenta, il 7/07/’19)
Oggi è un paese piccolo l’Armenia e poco conosciuto, trentamila km quadrati, poco più di una nostra regione, con tre milioni di abitanti in tutto, stretto a tenaglia tra due colossi come la Turchia e la Russia. Ma un tempo, sotto la guida del re Tigrane, aveva dato del filo da torcere pure ai Romani e il suo impero si estendeva su tre mari, dal Caspio al mar Nero al Mediterraneo.
Tre anni fa ho avuto l’occasione di visitare questo poverissimo paese, in gran parte montuoso, partendo in pullman da Tbilisi, capitale della Georgia, attraverso montagne impervie e strade disastrate, per arrivare alla sua capitale Erevan a quota mille metri. Decine di monasteri arroccati sulle alture custodiscono un paesaggio aspro, dalle rocce rossastre, in parte abbandonato a se stesso. Rari i mezzi di trasporto pubblici, poche le auto e solo di grossa cilindrata, nessuna moto, introvabili le biciclette che non si usano affatto, non so perché. Si dice che il suo popolo discenda dai figli di Noè e che sul monte Ararat, alto più di cinquemila metri, sia approdata la sua arca, ma nulla di preciso si sa né degli uni né dell’altra, di certo vi è solo che il monte sacro del paese è finito in mani turche, con installazioni militari ovunque ed un confine sigillato al millimetro. Solo per i turisti i venditori di colombe le fanno volare in cielo per un breve tratto per poi farle tornare al loro posatoio.
Noi Italiani conosciamo molto poco degli Armeni e qualcosa solo attraverso il famoso cantante armeno-francese Charles Aznavour (Aznavourian) mentre i Padovani conoscono la famiglia degli Arslan (Arslanian), già medici del nostro ospedale. La figlia Antonia, scrittrice, ha commosso tutti col suo libro intitolato “La fattoria delle allodole” dove racconta del genocidio di questo popolo da parte dei GiovaniTurchi al potere nel 1915. L’Europa, allora, era travolta dalla prima guerra mondiale e nessuno ebbe il coraggio o la forza di denunciare le stragi e le deportazioni in massa dove persero la vita oltre un milione di Armeni, vera prova generale per lo sterminio degli Ebrei nella seconda guerra mondiale.
Le relazioni con Venezia, invece, sono state tutte un’altra storia e risalgono al tempo dei floridi commerci della Serenissima con l’Oriente, talmente stretti che ancora oggi chiamiamo “armellini” le albicocche che provenivano da quel paese. E non stupisce che Goldoni, nella commedia “La famiglia dell’antiquario”, inserisca proprio un finto mercante armeno di anticaglie nella figura di Arlecchino che vuole abbindolare il suo padrone. Rapporti che nel 1716 portarono il Senato della Repubblica a donare l’isola abbandonata di S. Lazzaro all’abate Mechitar in fuga dai Turchi con alcuni suoi monaci. E ancor oggi visitiamo con rinnovato stupore questo lembo di terra armena in piena laguna veneta con la sua bella chiesa, il chiostro ed il preziosissimo museo fondato per custodire gelosamente le ultime testimonianze di libri e manoscritti antichi scampati allo scempio delle persecuzioni.
Pochi sanno che nel 1907 un giovane anarchico georgiano inseguito dalla polizia zarista trovò rifugio proprio nel convento armeno di S. Lazzaro dove, sotto falso nome, si adattò a fare il sacrestano per alcuni mesi. Si chiamava Giuseppe e per i suoi occhi azzurri di ghiaccio gli amici veneti lo avevano battezzato “Bepi del giasso”. Poi, siccome non voleva sottostare alle regole canoniche nel suonare le campane a dovere, l’abate lo licenziò e lui riparò in Svizzera dove conobbe il compatriota rivoluzionario Lenin. Qui si fece chiamare Stalin e divenne in seguito quel dittatore che tutti sappiamo. Misteri della storia.