Fino a due generazioni fa lavorare, ovvero laorare, significava fare fatica, ma spesso farne tanta perché il lavoro era prevalentemente quello agricolo e la fatica era la base del lavoro dei campi. Non era agricoltura ma laorare i campi come dicevano i veci e la fatica era inevitabile «parchè la tera la xe basa». Tutt’ora nel dialetto napoletano lavoro si traduce con fatica. Andiamo a lavorare si traduce in napoletano con jamme a faticà. Quindi lavoro uguale fatica e basta; altro che soddisfazione, realizzazione della persona come può fare solo chi nel lavoro non fa fatica come un animale.
Ma l’uomo ha sempre cercato di fare meno fatica possibile nel lavoro inventando tutte le soluzioni possibili, che rendessero il suo lavoro più proficuo e fargli fare sempre meno fatica.
Ebbene uno dei più faticosi lavori agricoli è certamente quello dell’aratura. Un vero e proprio laorasso che non solo richiedeva fatica fisica, ma anche buona tecnica e sapienza contadina. Se ari male peggio raccogli, diceva il proverbio, ma poi anche «se te ari tera bagnà par tre ani te ea ghe sassinà». Ed infine «el tempo matura e nespoe ma no ara i campi» e quindi bisognava pur sempre fare fatica in autunno per mietere il grano a giugno.
Fino alla prima guerra mondiale il progresso, in circa seimila anni di storia, aveva messo a disposizione del contadino solo l’aratro, la cui invenzione risaliva alla notte dei tempi ed il cui perfezionamento era frutto delle esperienze di ogni generazione di contadini. Ma il progresso fu molto misero, perché già nei papiri egizi e nelle tombe egizie del III° secolo avanti Cristo vediamo raffigurato l’aratro in legno ben fatto e trainato da una coppia di buoi e governato dal contadino, che lo reggeva con due manici. L’addomesticamento dei buoi risale a seimila anni fa ed avvenne in Mesopotamia. L’aratro si diffuse poi dappertutto. Ma attenzione in molti posti si ara la terra ancora con l’aratro trainato dagli animali.
E nel Vangelo di Luca troviamo scritto a proposito della chiamata degli Apostoli, che Gesù dice: «Nessuno che pone mano all’aratro e poi si volta indietro è adatto al Regno di Dio». E si capisce!. Chi sta arando non può assolutamente girarsi e guardare indietro. Deve governare i buoi che ha davanti e deve seguire il solco con l’aratro senza lasciare terreno dissodato. Chi si gira indietro quindi non avrà e non vedrà alcun risultato.
L’invenzione dell’aratro è in pratica l’evoluzione del piccone. Si fece trainare dagli animali una punta o una lama come una specie di piccone, sempre per fare meno fatica. Nei secoli fu aggiunto al piccone la punta di ferro per essere più robusto ed il vomere (o in veneto gomiero), ossia una specie di cono di ferro, che noi chiamiamo anche varsuro. Serviva a smuovere e rivoltare la zolla una volta smossa dal piccone o coltello o dente anteriore. Il vomere si chiama infatti in italiano anche versoio o rovesciatoio.
Ma arare restava sempre per il contadino, ovvero per il boaro, una grande fatica, una condanna perché era pur sempre l’uomo che doveva affondare l’aratro, tenerlo per i manici e tracciare il solco con la sua forza fisica. La coppia di buoi o di cavalli arava con un animale dentro il solco ed uno fuori e un ragazzo davanti che teneva la briglia mentre l’aratore camminava dentro al solco per guidare l’aratro con i due manici. Ma la fatica era sempre tanta! Si partiva al mattino all’alba e si arava fino al tramonto. «Se e nuvoe va al mare taca i bo’ e va arare»queste erano le previsioni del tempo.
La rivoluzione scientifica dei primi dell’800 migliorò ancora l’aratro inserendo due piccole ruote in ferro applicate su un assale, che migliorava la direzionalità dell’aratro ed il timone come nei carri per attaccare una o due coppie di buoi o di cavalli o di asini e altri piccoli accorgimenti come la possibilità di regolare l’inclinatura dell’aratro. Ma l’aratro in legno, magari con il vomere in ferro, fu usato in Italia, specie al Sud fino al 1950. E la fatica era sempre tanta!
Ma la vera rivoluzione avvenne dopo la prima guerra mondiale, quando si diffusero i primi trattori agricoli con motore a testa calda. I primi erano inglesi, ma subito dopo iniziarono a diffondersi anche gli italiani Landini, Om e Pietro Orsi e nacque così il mestiere del trattorista.
I primi trattori furono una evoluzione delle macchine a vapore, che era difficile usare nei lavori agricoli. ma che ebbero molto successo nel meccanizzare la trebbiatura. Il trattore invece permise di sostituire la trazione animale ed avere un mezzo molto più potente di un animale. Pensate che il primo trattore Landini aveva solo 25 CV con ruote in ferro e raffreddamento del motore mediante un evaporatore dell’acqua, la messa in moto richiedeva ore, perché bisognava scaldare la testa anteriore del motore con una lampada a petrolio e faceva fumo e un rumore infernale come una cannoniera, ma nessuna coppia di animali poteva minimamente gareggiare per potenza di traino con quella macchina.
L’aratro che fino a quel momento era stato attaccato alla coppia di buoi venne attaccato allo stesso modo dietro al trattore come fosse un cavallo. Il progresso fu notevole, però il contadino doveva comunque tenere l’aratro dentro al solco, il trattore doveva procedere al passo dell’uomo, perché altrimenti lo spompava e l’uomo doveva pur sempre fare un’enorme fatica. Soprattutto quando il trattore doveva girarsi bisognava sollevare l’aratro a braccia ed avviare il nuovo solco di aratura e fare così tanta fatica. Le operazioni di aratura di conseguenza erano molto lente. Serviva pur sempre, oltre al trattorista, anche l’aratore e spesso con le terre argillose e pesanti come le nostre, servivano due boari che alzassero a mano l’aratro e lo guidassero nel solco.
Ci fu un uomo o forse anche più di uno, che aveva intrapreso il mestiere del trattorista che qui da noi, nel nostro paese e nelle zone vicine andava nelle varie famiglie contadine ad arare. Spesso la terra era poca e doveva fermare il trattore per sollevare l’aratro a mano e quindi farsi assistere anche da altri e pur sempre fare sempre molta fatica. Era un uomo modesto e taciturno! Si lambiccò, allora, il cervello ed inventò in una notte insonne l’idea del «varsuro senza maneghi e senza boari». I primi trattori non avevano apparati elettrici o impianti idraulici. al massimo avevano una barra fatta a timone alla quale si attaccava l’aratro per trascinarlo nelle arature, come si attaccavano buoi o i cavalli all’aratro. Così il trattore proprio come si faceva con i cavalli. arava con una ruota dentro ed una fuori dal solco.
Raccontano allora, che il nostro uomo inventò e sperimentò a poco a poco, perché era anche un mezzo fabbro una specie di mezzaluna dentata in ferro, che alla fine dell’aratura facendo una leva contraria rispetto al vomere, sollevava l’aratro semplificando le operazioni di svolta del trattore. Con questo sistema il trattorista si arrangiava da solo, perché quando voleva sollevare l’aratro gettava questa mezzaluna che quando era sollevata arrivava vicino alla sua postazione di guida e quando voleva iniziare invece ad arare sollevava la mezzaluna con una cordicella e la rimetteva in posizione.
L’industria meccanica capì l’importanza dell’idea e la brevettò ed iniziò così anche la produzione in serie del varsuro sensa maneghi. Furono eliminati i maneghi dall’aratro e finì del tutto la fatica dell’uomo perché a quel punto non serviva più la forza umana per sollevare l’aratro, bastava gettare la mezzaluna o sollevare la mezzaluna. L’invenzione ebbe un certo successo fino alla fine della seconda guerra mondiale quando arrivarono le trattrici con apparati idraulici, mosse da motori diesel super potenti e l’aratro fu sollevato e posizionato mediante sollevatori idraulici azionati con una levetta o un pulsante dalla plancia di comando del trattore.
L’evoluzione dell’aratro non finì qui. Con le grandi potenze dei trattori, arrivarono anche gli aratri con più vomeri che alla fine dell’aratura invece che girare il trattore facevano girare la fila di aratri. I movimenti idraulici permettono tutto ed il trattorista oggi governa il trattore dalla sua cabina insonorizzata e climatizzata senza voltarsi indietro, perché con una telecamera posteriore vede tutto quello che avviene dietro alle sue spalle. Il trattore ara restando tutto fuori dai solchi perché gli aratri vengono posizionati lateralmente. La fatica è quasi scomparsa!
Le grandi potenze dei trattori hanno permesso anche di arare a profondità incredibili, che non sono mai state possibili solo pochi anni fa. Hanno permesso di mettere a coltura terreni difficili, sassosi o torbosi e quindi permettere un continuo progresso nelle produzioni agrarie.
Non è fantasia, ma il prossimo trattorista guiderà certamente il trattore non dalla cabina insonorizzata e climatizzata, ma da bordo campo mentre beve e mangia e messaggia con il cellulare tramite un banco di comando collegato al trattore da remoto, come si guida l’aereo senza pilota semplicemente inserendo il pilota automatico anche nel trattore.
Nel nostro piccolo quindi anche noi abbiamo contribuito alla realizzazione del sogno dei nostri nonni arare senza fare fadiga oggi si può e abbiamo certamente contribuito a quel progresso che ha sollevato l’uomo dalla fatica. Ma come spesso avviene quell’uomo benemerito fu presto dimenticato.