Se facessimo questa domanda all’esame di maturità ogni liceale, bene preparato in storia, risponderebbe che il 25 aprile 1945 è la data che segna la fine dell’occupazione nazista dell’Italia, la fine definitiva del regime fascista repubblichino, la fine della guerra, tant’è vero che dal 25 aprile 1946 si celebra ogni anno in Italia la Festa della Liberazione. A scuola, infatti, si insegna che in quel 25 aprile 1945 è avvenuta la totale liberazione del territorio italiano e quindi la fine della guerra, con l’assunzione dei poteri da parte del Comitato di Liberazione Nazionale. Ma qui da noi a Ponte San Nicolò e frazioni, a Padova il 25 aprile fu una giornata di festa per la popolazione? No fu una giornata di grande paura e di pericolo perché vi erano moltissime truppe tedesche in ritirata che stazionavano nelle case, requisivano di tutto e non solo per via della fame e senza fare tanti complimenti, che transitavano sulle strade secondarie ritenute più facili da percorre e meno esposte all’aviazione alleata e non dimostravano certo di volersi arrendere. Anzi fecero rappresaglie e stragi tra la popolazione civile.
Le truppe americane, solo il 22 aprile, entrarono a Bologna, il 23 le truppe inglesi entrarono a Ferrara, ma il superamento del Po e degli altri fiumi non fu né facile né rapido. Le retroguardie tedesche si difendevano molto ordinatamente per permettere al grosso dell’esercito tedesco di potersi ritirare senza arrendersi.
Il 25 aprile il CNL impartì l’ordine di insurrezione generale in tutta Italia, ma a Padova già il 26 fu sospeso, perché le truppe tedesche, seppur in ritirata, rifiutavano di arrendersi e vi furono scontri impari in tutta la provincia di Padova.
I partigiani a Ferrara fecero prigionieri tre grandi generali tedeschi ed il giorno 28 aprile a Padova li costrinsero a firmare la resa incondizionata e poi li portarono, uno al Bassanello e uno al ponte delle Brentelle per avvisare le unità tedesche in entrata a Padova di rispettare la resa e transitare esternamente senza entrare in città. Per tutta risposta il comandante della 29 Divisione Panzer “Falke” gen. Fritz Polack, quella che ha il falco ad ali aperte nello stemma, non solo non rispettò la resa, ma fece arrestare il colonnello austriaco comandante della piazza di Padova che aveva firmato la resa e lo fece fucilare la sera stessa del 28 aprile 1945.
Sempre in quel sabato 28 aprile 1945 vicino all’Ospedale di Padova un gruppo di partigiani tra cui i nostri giovanissimi Carlo Giorato e Antonio Norbiato di Ponte San Nicolò furono uccisi con altri sette compagni in uno scontro a fuoco contro la colonna tedesca, che rifiutava la resa ed aveva contravvenuto all’accordo di non entrare in città. Una lapide posta sul muro esterno dell’Ospedale Giustinianeo li ricorda.
Il 28 aprile 1945 fu ucciso a Rio sul cosiddetto ponte porseo Primo Gasparini di 24 anni, perché con le armi impediva ad una autoblinda tedesca il passaggio da via Lago Dolfin verso Rio. La stesa colonna entrando a Rio uccise Maritan Giobatta, che stava andando dalla sua casa, nota come la Casa dee Siore, verso la casa della figlia costeggiando una siepe senza fare nessuna attività ostile. La pattuglia tedesca sentì del movimento e lo mitragliò all’istante.
In quel tragico ed infelice 28 aprile 1945 morì con le armi in pugno, anche Guido Marchioro di Ponte San Nicolò appartenente alla Brigata Silvio Trentin mentre tentava con altri compagni di attraversare il Ponte di Brenta.
Sempre in quel 28 aprile 1945 a Saonara e alle Casone, ossia sui nostri confini, i tedeschi fecero una strage orrenda e vigliacca, anche senza che vi fosse stato un qualche attacco armato fatto dai partigiani locali e quindi non vi fu di fatto nessuna rappresaglia. Alcuni partigiani di Camin, forse anche un po’ sprovveduti, chiesero alle truppe tedesche che stazionavano presso villa Pimpinato la resa. Per tutta risposta i tedeschi li catturarono, uscirono e spararono all’impazzata su chiunque avessero loro incontrato. Poi catturarono anche decine e decine di ostaggi di tutte le età e li radunarono alle Casone presso Villa Bauce e qui li uccisero a tre per tre gettandoli poi in un fossato davanti alla villa. Iniziarono le uccisioni alle 19,30 e poi proseguirono sino al buio. Quarantatre furono le vittime presso Villa Bauce a cui vanno aggiunti i cinque uccisi durante il rastrellamento avvenuto in precedenza. Il generale dei Carabinieri in pensione Giuseppe Dezio si offrì come ostaggio in cambio della liberazione di tutti gli altri. Lui pensava infatti che le truppe tedesche volessero ritirarsi in modo ordinato. Invece il primo ad essere stato trucidato fu proprio lui che fece un gesto eroico simile a quello di Salvo D’Acquisto anche se fu fatto invano perché la ferocia non ammise misericordia. La strage fu di quarantotto persone comprese molte donne e bambini. Un bambino di appena cinque anni fu ucciso sparando alle gambe del nonno perché cercava di nasconderlo. Il nonno perse una gamba il bambino invece fu ucciso. Nella strage di Villa Bauce perse la vita anche Rino Salmaso un ragazzo di venti anni nato a Ponte San Nicolò e che abitava alle Casone di Legnaro.
Altre stragi nello stesso giorno ed anche in quello successivo avvennero anche in altre zone del padovano sempre ad opera delle divisioni tedesche in ritirata .
La Liberazione vera quindi è stata tanto sofferta quanto molto lenta e dolorosa: Del resto non si esce da una dittatura e da una guerra senza un’altra guerra senza odi, rancori e vendette. E’ accaduto poi che su questi fatti calasse sin da subito il silenzio più assoluto: non ci furono infatti indagini, arresti, processi , condanne, risarcimenti ecc. si è voluto dimenticare alla svelta i disastri fatti dalle guerre.
In diverse parrocchie del Comune le rogazioni forse non a caso cominciavano proprio il 25 aprile con lunghe processioni sui campi di grano. Si impiantavano sul terreno ai vari lati dei campi le “crosette” fatte con il legno dell ‘onaro o ontano che dir si voglia scorticato ed intagliato con un rametto orizzontale . Il Sacerdote intonava le litanie e poi alzando la croce verso i quattro punti cardinali diceva: “ A fulgure et tempestate …. Ed i fedeli rispondevano “Libera nos Domine … A peste , fame et bello… e la risposta era sempre … “ Libera nos Domine! Allora ero solo un piccolo chierichetto e non sapevo il latino ma poi ho capito cosa significava fame peste et bello.
Adesso le Rogazioni non si fanno più ma peste fame et bello ci sono ancora e per questo si dice ancora Ut pacem nobis dones,.. te rogamus audi nos.
Leone Barison