La seconda guerra mondiale fu annunciata dal Duce, come di costume in quegli anni, tramite altoparlanti, che campeggiavano dalla nuova Casa del Fascio, situata a Ponte San Nicolò in via Roma nel pomeriggio del 10 giugno 1940. Un edificio con tanto di torretta e pennole per le bandiere, che in futuro avrebbe ospitato le prime scuole medie del territorio. A dire il vero c’era già il sentore da giorni, di ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto. La propaganda batteva sulla gran cassa delle malefatte causate dalle demoplutocrazie occidentali, garanti dell’ordine, il peggior complotto massonico contro l’Italia, mentre l’agenzia Reuters aveva annunciato la guerra già tre giorni prima, così i preparativi a seguito dell’annuncio si fecero intensi.
Il Partito Fascista nella sua sede a Roncajette, era nella massima mobilitazione, ma i cittadini rimasero molto freddi e stupefatti. Già prima della dichiarazione ufficiale di guerra erano state richiamate alle armi classi intere di maschi, così come i veterani reduci della prima guerra mondiale. Il Duce era frenetico ed ambiva ai successi delle armate hitleriane, prima in Polonia e poi in Francia, tanto da pensare di arrivare troppo tardi e trovarsi a guerra già finita senza aver ottenuto nulla. In un mese la Germania aveva invaso la Francia, che si apprestava a firmare la sua resa incondizionata all’invasore! E noi? Con otto milioni di baionette non potevamo restare a guardare! Allora guerra a quel che restava della Francia ed a seguire alla Gran Bretagna.
I primi anni di guerra furono tristi, perché arrivavano continuamente notizie di morti dai vari fronti. La prima vittima di Ponte San Nicolò fu un marinaio mitragliere, morto a seguito di un bombardamento nel porto di La Spezia. Nonostante la partenza degli uomini validi e la scarsità di materie prime quali ferro, lana, seta, cotone, insieme alla penuria dei viveri, alla miseria diffusa, alleviata dal possesso della tessera annonaria, la popolazione non subì inizialmente gravissimi conseguenze, soprattutto perché ad una vita di stenti ci si era abbondantemente abituati. L’informazione era sotto controllo, nessuno poteva possedere una radio ed era assolutamente vietato ascoltare Radio Londra o altre radio clandestine. Il fascismo era organizzato con una propria milizia, che vigilava su tutto con spie ed informatori infiltrati dappertutto.
Con la guerra arrivarono i primi prigionieri, in gran parte inglesi catturati nei vari fronti. Molti erano feriti e per loro furono approntati dei campi di lavoro in zone periferiche controllati dai soldati italiani. A Ponte San Nicolò fu allestito un campo di prigionia presso la società Alba della famiglia Montesi, che andò progressivamente ingrandendosi fino ad arrivare a 50 – 60 prigionieri. Un altro campo di prigionia, a noi vicino, era quello di Saonara costruito presso i grandi vivai della Sgaravatti considerato, che aveva molti campi coltivati a vivaio. Non si potevano paragonare i nostri campi di prigionia con quelli allestiti dai tedeschi, con tanto di filo spinato o con l’alta tensione nella recinzione e le torrette con le mitragliatrici. La sorveglianza tutto sommato era modesta ed i prigionieri prestavano il loro lavoro in campagna, per loro non mancava mai da mangiare, anche se non avevano alcuna tessera. Con Montesi, nel nostro territorio, si coltivavano le barbabietole ottenendo anche le sementi per l’anno successivo. Già prima della guerra, questa famiglia di imprenditori, aveva una grande produzione di barbabietola da zucchero, con diversi zuccherifici sparsi per l’Italia. In quegli anni per avere diritto a generi di prima necessità bisognava esibire la tessera annonaria e non si poteva comprare oltre quella razione assegnata, così durante la guerra con la penuria di essi, anche lo zucchero era diventato un bene prezioso e così venne razionato. Con “razionato” si intendeva, che ogni persona della famiglia aveva una razione quotidiana di zucchero e non ne poteva comprare dell’altro. Il tutto veniva annotato sulla tessera annonaria, ossia una carta con vari talloncini dove erano indicate le razioni. Per giunta, durante la guerra, visto che la situazione si era fatta più precaria, le razioni furono ulteriormente ridotte.
Allora si parlava della tessera in modo equivoco, perché con tale espressione si poteva indicare sia la tessera annonaria, che ti attribuiva le scarse razioni giornaliere di pane nero (quello bianco era un sogno), sia allusivamente alla tessera del Partito Fascista, senza la quale effettivamente il pane non veniva distribuito. Sotto il Fascismo, infatti i partiti politici diversi dal Partito Nazionale Fascista non erano ammessi, ma il popolo italiano, anche se la propaganda del regime invitava a diffidare dello straniero, non era capace di infierire o trattare male i prigionieri. Le madri di famiglia vedevano in loro i propri figli lontani, di cui non avevano più notizie e magari erano proprio prigionieri degli inglesi. I vecchi vedevano in loro un’occasione per aiutarli, da quanto erano inoffensivi questi prigionieri, mentre le ragazze aguzzavano gli occhi. Pensate, che nel paese all’epoca non vi erano ragazzi, ma solo vecchi e bambini, e la prigionia non era poi così ferrea, tanto che i prigionieri arrivavano fino agli abitati di Rio, a Roncajette, nella zona dei Pengo ossia l’attuale zona di san Leopoldo, e fino alla frazione del Casone.
Successe che una giovane e bella ragazza dai capelli ricci e gli occhi neri, adocchiò un pilota inglese sporco e lacero dagli occhi azzurri, biondo con i capelli lisci e con le panne sul naso, o viceversa, che fosse stato il pilota inglese ad adocchiare la bella ragazza italiana e farle dei complimenti in inglese, non lo sappiamo. Lui girava con una camicia rotta. Fatto sta che inspiegabilmente nacque tra i due una simpatia, ostacolata però dalla barriera linguistica. Ma come tutti i muri, anche la barriera linguistica non durò molto. L’inglese era sveglio e rapido nell’imparare e la ragazza ancora di più, tanto che un giorno un gruppo di fascisti la fermò mentre andava in bicicletta a Roncajette per fare la spesa con le tessere, con in borsa anche una grammatica inglese. La lasciarono andare perchè era veramente bella, ma la cosa non passò inosservata, perchè il loro capo già sapeva, che il padre di quella ragazza era un noto sovversivo, che non partecipava alle adunate in piazza, mentre trovava il tempo evidentemente di leggere i libri inglesi.
La barriera linguistica cadde pian piano fino a scomparire e, strano a dirsi, il prigioniero inglese otteneva sempre compiti favorevoli, come lavorare la campagna dei Montesi nei punti strategici, ossia verso Rio o verso Roncajette così da poter incontrare e la ragazza, affezionandosi sempre più alla vita di campagna. Lei usciva spesso per coltivare il proprio campo, l’orto e a discòrare, ciacolare o come si diceva in paese a “fa amore” in inglese senza sapere l’inglese. L’inglese sembrava apprezzare, tanto da chiederle se gli procurava qualche camicia o qualche pezzo di sapone. Un bel giorno la ragazza non si sa come gli disse:
«Quat’s your name?» – E l’inglese rispose – «My name is Arthur» – E poi aggiunse anche il cognome che rievocava sport famosi.
Ma intendiamoci non era il solo a frequentare le case dei paesani, altri prigionieri inglesi andavano a lavorare verso l’abitato di Rio, fino alla casa dei Miolo, dei Crivellari, degli Schiavolin e dei Cavestri ossia vicino alle piazze di Rio o di Roncajette.
Tutto cambiò però in occasione di due date fondamentali il 25 luglio 1943 e l’8 settembre 1943.
Già con il 25 luglio e la caduta del fascismo nei paesi si fece una grande festa. Si pensava che la guerra fosse finita ed I nostri soldati si tolsero le divise. Si tolse anche la sorveglianza del campo di prigionia, già molto blanda, furono aperti i cancelli ed i prigionieri si cambiarono di abito e partirono in tutte le direzioni. C’era chi aveva già delle istruzioni e delle conoscenze per andare verso Ferrara, passare il Po e cercare di raggiungere il fronte meridionale, dopo lo sbarco degli eserciti alleati al sud. Altri andarono invece verso la montagna a dare man forte alle prime formazioni partigiane seguendo le direttive di Radio Londra nel contrastare in ogni modo le truppe tedesche, che stavano invadendo in quei giorni l’Italia, altri rimasero in zona. Un prigioniero inglese molto combattivo, fu ospitato presso una famiglia benestante di Roncajette in una casa vicino all’argine e cominciò ad organizzare subito i primi gruppi di partigiani locali.
Il nostro Arthur una volta tornato libero, cosa fece? Secondo voi si allontanò subito? No! Rimase in zona perché non era prudente allontanarsi. Rischiava di finire in mano ai tedeschi o che i fascisti lo consegnassero ai tedeschi ed allora chiese ed ottenne ospitalità presso la casa della bella italiana. In casa, però era troppo pericoloso! Gli scavarono allora un rifugio fuori della casa, con l’entrata sotto il pagliaio e vicino al letamaio con più vie di fuga fatto in modo tale, che si potesse fuggire rapidamente verso i campi o verso il fosso a seconda delle situazioni. Si alzava el pajaro e si trovava una base in lamiera che non serviva al pajaro, ma a nascondere l’entrata al rifugio. In caso di necessità di entrava nel pajaro e scompariva sottoterra.
Arrivò l’otto settembre 1943 e non fu «tutti a casa», ma l’annuncio «la guerra continua», anche se Badoglio non lo disse alla radio, tuttavia si era già capito che la guerra continuava contro le truppe tedesche, che nel frattempo avevano occupato strade, caserme, municipi. Nel frattempo anche i giovani nati nel 1925 e che avevano appena compiuto i 18 anni furono chiamati alla leva. Molti non si presentarono e si diedero sbandati, chi in montagna, chi alla clandestinità, chi finì catturato e spedito in caserma o in Germania.
Cominciò allora il periodo più duro della guerra. Allarmi continui, bombardamenti, penuria di viveri, pericolo di vita, guerra civile, contrabbando, armi in tutte le case. Il Comune, che obbligava in quel tempo a presentarti con il badile per fare lavoro volontario per conto dell’esercito tedesco. Fu in quel momento, che non si sa da chi, ma l’anagrafe del Comune fu incendiata due volte, si pensa per distruggere le liste della leva militare per impedire l’individuazione dei renitenti alla leva, passibili della pena di morte se fossero stati catturati.
Ecco che allora Arthur si ritrovò ospite della bella italiana. Scattava l’allarme antiaereo e allora tutti dentro al rifugio al buio. Giravano pattuglie tedesche e allora via a nascondersi per i campi.
Furono anni durissimi fino all’aprile del 1945, ma forse Arthur fu molto fortunato a finire clandestino a Ponte San Nicolò «prigioniero» di una bella ragazza, piuttosto che prigioniero dei tedeschi. Arrivò la Liberazione e le ultime colonne tedesche in ritirata passarono da Ponte San Nicolò il 28 ed il 29 aprile del 1945 e fecero molti morti. I tedeschi in ritirata erano terrorizzati e sparavano su tutto quello che si muoveva. Vi furono anche atrocità commesse non solo ai nostri confini in zona Casone tra Legnaro e Saonara, ma in molte altre zone della nostra Provincia.
E Arthur con la Liberazione fu veramente libero. Forse promise anche di ritornare, ma non lo fece tornò in patria e la bella italiana lo attese per molto tempo. Se fu vero amore non lo sapremo mai e comunque il primo amore non si scorda mai.