Raccontano che ai confini della confluenza tra il c.d. scornio con il fosso dei guasti , oggi entrambi tombinati per costituire la piazza di Rio, vivesse un vecchio molto burbero che si chiamava Bepi, che però tutti chiamavano BEPI BON ,perché effettivamente, al contrario era molto… ma molto cattivo e per nulla socievole. La sua casa aveva un campo con sul davanti la bustija con un bell’albero di marinelle ed il campo confinava con un grande fosso, sempre pieno d’acqua e di lato confinava con il campo ove i ragazzi ed i giovani del paese andavano a giocare a pallone. BEPI BON era intrattabile, non aveva però tutti i torti perché i ragazzotti della piazza spesso lo provocavano, lo prendevano in giro e gli facevano anche scherzi molto pesanti. Lui reagiva molto male e nel modo più sbagliato possibile. Si era così innestata una spirale molto brutta a chi la combinava più grossa. Lui attraversava spesso la piazza per andare all’osteria lì vicino e passando davanti ai ragazzi, che giocavano a pallone o a querceti li provocava a parolacce dicendo loro :
Andate a casa fannulloni, piassaroi, boni da gnente, delinquenti
e loro rispondevano allo stesso tono e l’epiteto quasi giornaliero era “imbriagon”.
Ma BEPI BON non era uno che si limitasse all’insulto, era uno di carattere molto orgoglioso e spesso quando lo insultavano diceva loro : “Ocio perché go la sciopa”. In effetti tutti quelli della piazza sapevano che lui aveva la sciopa ossia il fucile da caccia perché anche se non volevi di tanto in tanto sentivi dalla piazza bum , buuuum. Allora i ragazzi della piazza accorrevano verso il fosso ed il campo di Bepi e qui scoprivano che era lui ad aver sparato persino ad un topo, ad un merlo perché si era avvicinato troppo alla sua casa o al suo orticello, o aveva sparato ad un gruppo di storni perché avevano adocchiato l’uva del suo vigneto. Per lui infatti il fucile era un attrezzo complementare al suo lavoro agricolo. E da quello che andava dicendo in osteria lui, ne era anche orgogliosissimo. Bepi parlava poco ma gli si illuminavano gli occhi quando raccontava che appena diventato maggiorenne e compiuto 21 anni era subito andato all’armeria che allora si trovava in piazzetta alla Volta e si era comprato con i suoi risparmi il suo primo fucile. Un Marocchi per lui bellissimo che non faceva mai vedere a nessuno e tantomeno provare. Le cartucce invece se le preparava da solo con una macchinetta fatta apposta per premere la polvere nera entro dei tubicini di cartone grosso e poi metteva i pallini e chiudeva il tutto con una specie di tappo di carta.
All’Osteria molti lo provocavano perché la sua reazione era sempre spropositata.
Bepi se ti vengono a rubare le galline cosa fai ?
Lui rispondeva immediatamente:
GHE SPARO
Bepi se ti tirano una pallonata in faccia cosa fai ?
E Lui immediato: GHE SPARO
Bepi se ti prendono per il culo cosa fai?
GHE SPARO
Bepi se ti vengono a prendere le marinelle?
La risposta era sempre quella: GHE SPARO…
Ma il suo pessimo rapporto coi giovinastri della piazza non migliorava nemmeno con il suo celebre GHE SPARO.
Un giorno andò da casa sua ad una che sorgeva dietro l’osteria con la forca a tre denti a prendere un po’ di paglia da mettere nel pollaio per le galline. Lui come al solito attraversò la piazza insultando come d’abitudine i ragazzi dicendo loro
Fannulloni, piazaroi e… mone
E loro risposero: Pien de ombre
Passò davanti all’osteria ma non seppe tirare dritto si fermò a bere un goccio e poi andò a prendere la paglia. Inforcò il mannello di paglia con la forca e se lo mise in spalla per tornare a casa. Passò di nuovo davanti ai giovinastri che lo derisero di nuovo e lui di nuovo li minacciò ocio che go la sciopa. I ragazzi tuttavia che lo conoscevano bene e lo osservavano sempre con grande attenzione e notarono che barcollava un tantino più del solito nel ritornare a casa segno che forse l’ombra bevuta all’osteria non era un’ombra isolata. Uno dei più aggressivi tra i giovinastri allora lo seguì alle spalle facendo attenzione a non farsi sentire e vedere. Appena giunto al ponte storto che c’era davanti alla chiesa di Rio lo raggiunse e con fare velocissimo accese un cerino e diede fuoco alla paglia. Immediatamente scappò verso i suoi amici. BEPI BON sul momento non si accorse di nulla e continuò tranquillamente ad andare verso casa. Fece solo tre passi e sentì il fuoco della paglia crepitare sulle spalle; allora emise un urlo che lo sentirono in tutto il paese e fece un salto come una gazzella alla vista del leone. Corse a casa prese il suo amato fucile e cominciò a sparare in aria, a urlare… ritornò anche sui suoi passi ma ovviamente dei giovinastri non vi era più traccia. Erano spariti.
BEPI BON non sapeva con precisione chi lo canzonava, chi lo provocava, chi gli facesse gli scherzi perché i ragazzi si alternavano e lui non era in grado di riconoscerli. Allora se la prendeva con tutti loro.
Quando i ragazzi giocavano a pallone e per sfortuna succedeva che il pallone usciva di lato ed andava a cadere nel campo di Bepi era un bel guaio. Se lui se ne accorgeva il pallone era perso. Bepi lo bucava con un chiodo arroventato e lo ributtava in campo. Allora i ragazzi facevano la colletta ed andavano a ricomprarsi un pallone di plastica perché era quello che costava di meno.
La piccola squadra di monelli andando a giocare ad un torneo aveva vinto un bellissimo pallone di cuoio come si usava allora. Non lo aveva nessuno il pallone di cuoio… si usava solo nei campionati e dai veri calciatori. I giovani della piazza erano orgogliosi del loro pallone di cuoio e lo usavano per ogni partitella.
Ma un brutto giorno di aprile il pallone di cuoio a seguito di un feroce scontro di gioco si impennò altissimo superò la riva che faceva da confine e cadde nel campo di Bepi mentre stava sorvegliando il suo campo davanti casa e come se non bastasse le grida di disperazione dei ragazzi gli segnalarono che stavolta la preda era più grossa del solito. Con un balzo Bepi si avventò sul pallone lo prese e poichè il chiodo arroventato non funzionava usò stavolta la subia da scarparo per bucarlo. Piantò la subia tra una cucitura e l’altra delle varie pezze che si cuciono per costruire il pallone e la camera d’aria interna venne perforata. Allora lo prese come un trofeo e lo ributtò nel campo , teoricamente era riparabile ma nessuno dei ragazzi ne era capace… bisognava andare da un calzolaio.
La delusione fu forte per i ragazzi ed i monellacci della piazza. Avevano il pallone di cuoio ma ora per colpa di BEPI BON non lo avevano più.
La vendetta però non tardò ad affacciarsi e dare cattivi consigli. Un caporione di quelli tra i più cattivi un giorno disse :
Ragazzi facciamo una bella sorpresa a Bepi gli freghiamo le marinelle che lui difende continuamente.
Ma è impossibile
Dissero gli altri:
Bepi ha la sciopa e se ti vede ti spara. Non si può andare a rubargli le marinelle.
Ma il caporione aveva subito la risposta convincente.
Come siete ingenui ! Noi non andiamo a fregargli le marinelle-disse loro- noi gli tagliamo l’albero!
La proposta lasciò tutti a bocca aperta perché una vendetta del genere era quello che secondo loro BEPI BON si meritava.
Cominciarono subito con le osservazioni dell’obiettivo. Nascosti sul bordo del grande fossato che poneva fine al campo di Bepi i ragazzi avevano imparato a che ora usciva di casa, a che ora rientrava, dove teneva il fucile, dove teneva le cartucce ecc. Insomma avevano pianificato per bene. Un bel giorno quando furono pronti il caporione distribuì i compiti. Voi due andare alla falegnameria e vi fate prestare il segaccio a quattro mani. Voi trovate il posto ove portare subito l’alberello per raccogliere le marinelle, voi state di riserva dietro la linea del fosso pronti ad entrare in azione, io ed un altro andiamo a bloccare la porta di Bepi appena entra in casa per bere e tu blocchi il fucile. Detto fatto alle due del pomeriggio scatta l’ora fatale, i giovinastri saltano dentro al campo di Bepi e con il segaccio a quattro mani tagliano alla base l’albero delle marinelle. Bisogna dire che l’albero delle marinelle è un po’ più piccolo degli altri ciliegi non supera mai i tre metri e non diventa mai molto grosso. Quindi il taglio fu anche molto veloce ed il tronco non creò problemi. Lo trasportarono quindi velocemente lontano dalla casa di Bepi dietro alla chiesa in un fossato e lo spogliarono dei frutti. Il caporione non appena vide che la missione era stata compiuta lasciò la porta e si mise in salvo e così fece l’addetto al fucile.
Bepi non si era accorto di nulla. Dopo una bella mezz’ora uscì di casa e sul momento non si accorse della novità. Si sedette come al solito davanti casa e stava per riprendere in mano il suo fucile quando vide torbido in lontananza. Ritornò indietro si stropicciò gli occhi forse pensava di aver bevuto troppo… Non c’era più l’alberello delle marinelle!
Le vedette lasciate a controllare le mosse del Bepi riferirono con dovizia di particolari che Bepi ci mise un po’ a capire lo scherzo… non ci voleva credere. Quando capì che gli avevano tagliato l’albero emise un urlo come quello della paglia incendiata. Andò su tutte le furie prese il fucile e cominciò a sparare all’impazzata. Poi tornò indietro perché non aveva cartucce corse verso la strada per vedere se vedeva quelli che gli avevano tagliato l’albero.
Gridava:
GHE SPARO… GHE SPARO… GHE SPARO… MI GHE SPARO…
Passava da quelle parti un Tizio diretto alle quattro strade passando per la via che oggi si chiama via Vivaldi. Andava a passo lento come un turista in gita di piacere. Giunto sul ponte di Bepi sentì sparare nella sua direzione e vide un tale che correva come un matto e sparava col fucile. Prese una paura tremenda e si mise a correre con la bici facendo lo slalom in mezzo alle buche pensando di essere inseguito e di essere lui il bersaglio. Corse così tanto che, raccontano , andò diritto sino alla Caserma dei Carabinieri di Prato della Valle ed al piantone disse, che c’era uno che lo stava ancora inseguendo con il fucile in mano.
Forse si sparse la voce… Forse i Carabinieri di Prato della Valle chiamarono quelli di Legnaro… Fatto sta, che verso sera arrivarono da Bepi il brigadiere di Legnaro assieme ad un suo collega e gli dissero
Bepi, facci vedere la sciopa Bepi
Fece loro vedere la sciopa e allora loro se la presero e gli dissero questa la portiamo in caserma per accertamenti.
Bepi non rivide più la sua sciopa ed i ragazzi della piazza continuavano a deriderlo dicendogli: Ocio Bepi che te sparo !.
Bepi era molto, ma molto avvilito tanto che smise di andare persino all’osteria e la cosa arrivò anche all’orecchio del Parroco il quale convocò alcuni dei ragazzi, li sgridò molto severamente per quello che avevano fatto e per aver partecipato a questo scherzo grave e disse loro, che dovevano chiedere scusa e risarcire Bepi. Qualcuno fece notare che anche Bepi aveva provocato bucando i palloni e rovinando il pallone di cuoio. Il parroco osservò che anche non restituire e danneggiare il pallone è sbagliato ma rubare le marinelle è un peccato gravissimo.
Così stavolta i giovinastri e persino anche quelli più piccoli fecero la colletta non per comprare il pallone ma per risarcire, in qualche modo, Bepi. Poiché nessuno aveva il coraggio di portare i soldi raccolti da Bepi di persona gli depositarono una busta all’osteria con l’incarico all’oste d consegnare il tutto a Bepi.
Bepi ricevette il risarcimento e da quella volta in avanti non bucò più un pallone e smise anche di andare all’osteria perché gli ricordava la brutta umiliazione subita.
LEONE BARISON