E chi li usa più certi vocaboli?
Ho provato in più occasioni a chiedere a dei ragazzi di scuola superiore se sapevano che cos’era un “vespasiano” e tutti mi hanno guardato storto, come fossi un marziano. Eppure, una volta, in ogni paese di rispetto esistevano i cosiddetti “gabinetti pubblici” che prendevano questo nome proprio dall’imperatore romano Tito Flavio Vespasiano che li aveva inventati e pure…tassati.
Le parole, si sa, vanno e vengono in continuazione, nascono e muoiono, son cose vive, sono lo specchio di una età, di un’epoca, di una società e anche di una persona.
– Parla come che te magni – diceva mia nonna a chi un poco se la tirava o parlava apposta complicato per non farsi capire.
Quest’anno il famoso vocabolario d’italiano Zingarelli compie cent’anni, un bel traguardo non c’è che dire, ma “quam mutatus ab illo”, quante parole sono cambiate da quel lontano 1917 e quante di nuove ne sono entrate, almeno mille ogni anno solo in quest’ultimo triennio. E non cessano di entrare prepotentemente, spingendosi e scavalcandosi l’una con l’altra, giorno dopo giorno, facendo ressa in TV, sui giornali, sui network e soprattutto nel vorticoso evolversi dei “social media”.
Chi si sarebbe mai sognato, solo alcuni mesi fa, di veder nascere una parola astrusa e bruttina come la “Brexit”, composta da Bre(tagna) più un latinismo “exit” che vuol dire uscita? Eppure oggi, più che in passato, si tende continuamente a coniare nuove espressioni, sia nella politica che nella società, come nella finanza, nello sport, nella gastronomia, nella pubblicità, è tutto un inventare e un reinventarsi per stupire e avere una maggiore presa sul pubblico.
E questo vale specialmente per il mondo dei giovani che con i “social” ci giocano, twittano (cinguettano), taggano (si identificano) creano hashtatg (hash cancelletto e tag etichetta) per evidenziarsi con frasi ad effetto e fare bella mostra di sé nelle foto. Tutte parole straniere (anglicismi) che denotano una società e una cultura sempre più “veloci”, multiculturali e complesse, quand’anche non più…complicate e superficiali. Volano a miliardi, via internet, messaggi di ogni tipo, tanto gli apprezzamenti come le ingiurie, le scoperte vere e quelle presunte, le notizie buone e le cattive, molte spesso anche infondate (fake news), assieme ai proclami trionfanti dei politici che, appena si svegliano la mattina, ti sistemano il mondo in due righe. Ahimè! Mai, come oggi, rimane valido il proverbio:”Tra il dire e il fare c’è di mezzo il…mare”. Eppure tutti vogliono esserci “in tempo reale”, per poter dire la loro “sulla Rete” e rimanervi “connessi“ ogni momento della giornata.
Più che una moda, direi una vera ossessione.
Embè? Che male c’è allora se io, una volta tanto alzandomi da tavola soddisfatto dopo un buon pranzo, magari quello di Natale o Capodanno, uso ancora il termine “luculliano” per fare onore scherzosamente alla padrona di casa, o addirittura “pantagruelico” per magnificare un banchetto variegato e abbondante? Sarà un po’ retrò, è vero, ma almeno vorrà dire che ho mangiato bene per davvero, accipicchia, senza tutti quei slow food, fast food e street food che tanto assomigliano alla réclame di alcune creme per i piedi.
Per la storia: Lucullo era un nobile militare romano famoso per i suoi memorabili banchetti.
Pantagruel, figlio del gigante Gargantua, è un personaggio vorace e insaziabile dei romanzi di Rabelais, scrittore francese vissuto nella prima metà del ‘500.