Una vita breve, intensa e sfortunata, quella di Sebastiano Schiavon. Nato il 28 maggio 1883 a Roncaglia di Ponte S. Nicolò, da una modesta famiglia contadina, divenne agli inizi del ‘900 leader carismatico del movimento cattolico nel Veneto.
Dopo aver studiato, come spesso accadeva ai figli di povera gente, nel Seminario Vescovile, riuscì a laurearsi in lettere e ad essere nominato segretario dell’Ufficio cattolico del lavoro. Struttura organizzativa voluta dal vescovo di Padova Luigi Pellizzo per intervenire fattivamente all’interno della vita sociale e politica del territorio:
Nessuno, meno casi eccezionali, si tenga estraneo alla vita pubblica: poiché ogni cittadino ricco o povero, dotto o scarsamente istruito ha dei diritti e dei doveri verso il Comune, la Provincia e lo Stato e li deve esercitare…
Sindacalista a tempo pieno, Schiavon percorse le campagne padovane, ascoltando mezzadri e boari, agricoltori ed operai, diffondendo conoscenze tecnico scientifiche, mediando tra contadini e proprietari, definendo nuovi contratti colonici, organizzando la protesta e persino promuovendo scioperi, quando la pianta della speranza non poteva altrimenti essere coltivata. Memorabile quello di 11 giorni, realizzato a Saonara dai 200 operai della ditta Sgaravatti. Scrisse in proposito, sulla Difesa del popolo del 18 aprile 1909, lo stesso Schiavon: “Anche questo sciopero, come quello delle orarole di Monselice, come quello memorando delle tessitrici di Piove di Sacco, è terminato felicemente ed ha segnato un’altra splendida vittoria per l’Ufficio cattolico del lavoro. Ha dimostrato poi che quando intraprendiamo la lotta, non facciamo vana mostra di noi stessi, come hanno insinuato i giornali avversari di questi giorni, ma difendiamo una causa santa e non cediamo finché giustizia non sia fatta…”
La sua infaticabile attività a favore dei contadini e degli operai si accompagnò ben presto all’impegno politico diretto. Divenne consigliere provinciale a Padova e consigliere comunale a Saonara, Ponte S. Nicolò e Legnaro. Nel 1913, alle prime elezioni politiche, svoltesi con il suffragio universale maschile, Schiavon si presentò nel collegio di Cittadella, ottenendo una straordinaria vittoria: era il deputato più giovane e più votato d’Italia, con il 90% dei voti a suo favore.
Di quell’evento rimase memoria in uno stornello popolare che si conclude con le parole:
Fior de limon abasso i paruconi e la camora, eviva sempre el professor Schiavon
Il professore entrò, dunque, nell’immaginario di quella povera gente, come lo strapazzasiori, quasi un santo da venerare ed invocare attraverso l’immagine, gelosamente custodita in camera da letto. Ma ormai altri eventi incombono: scoppia la Prima Guerra Mondiale. A Roma, in Parlamento, Schiavon si oppose con tutte le sue forze all’entrata in guerra dell’Italia. Ma a nulla valsero le sue dichiarazioni e i suoi discorsi. Come a nulla valse il suo voto fermamente contrario, assieme a quello di altri pochi deputati, all’attribuzione dei pieni poteri al governo Salandra. Durante il conflitto mondiale, le sue iniziative non si fermarono, anzi aumentarono: si interessò sul piano privato ed istituzionale, di quanti stavano al fronte e delle loro famiglie, dei prigionieri, delle vedove e degli orfani sino agli sfollati che, a migliaia e migliaia, fuggivano dalle terre occupate, dopo la tragica rotta di Caporetto.
Il 4 novembre 1918 a guerra conclusa, Schiavon pensò ai danni materiali e morali prodotti dall’evento bellico, ma anche alle nuove prospettive culturali e politiche che si aprivano. Così con altri tre deputati presentò, il 24 novembre 1918 alla Camera, un ordine del giorno che recitava:
La Camera mentre rileva che, costituita vittoriosamente l’unità nazionale, si chiude con la guerra il predominio dei vecchi partiti nel governo dello stato, poiché la potenza rinnovatrice delle idee, coll’applicazione integrale dei principi di libertà e di giustizia, affretta l’avvento delle forze del lavoro; e ritiene che questo grande fatto non debba sottrarsi all’influenza regolatrice della dottrina sociale della chiesa…
Parole e principi ripresi da don Luigi Sturzo, quando, il 18 gennaio 1919, lanciò l’appello “A tutti gli uomini liberi e forti” e presentò il programma del Partito Popolare Italiano.La nascita del PPI e la fine della legislatura (novembre 1919) conclusero l’esperienza di Schiavon cattolico-deputato, esperienza fondata sulla responsabilità e sulla libertà personale, e aprirono quella non facile ed indolore di deputato cattolico nelle file del nuovo partito. Rieletto deputato nel 1919, Schiavon affiancò all’attività di parlamentare quella di responsabile dell’Ufficio del lavoro. Alla vecchia attività, da cui mancava da anni, fu spinto a tornare per le insistenze delle organizzazioni cattoliche e dello stesso vescovo. Così il professore ritornò agli incontri, ai dibattiti anche polemici, alle leghe bianche, agli scioperi, con la forza che gli derivava dall’esperienza maturata e dal suo ruolo politico. Ma quella scelta determinò la sua prematura fine politica, perché in quegli anni (1920 – 21) la sua frenetica attività e la sua opera incisiva gli attirarono le incomprensioni e gli odi dei ricchi proprietari terrieri e dell’alta borghesia cittadina. La stessa Chiesa di Padova, inizialmente così sollecita nel richiedere il suo impegno, cominciò ad orientare l’insegnamento e l’attività pratica del clero in altra direzione. Abbandonò il sostegno al PPI e alle leghe bianche e puntò decisamente l’attenzione sul risanamento dei costumi e sulla cura delle anime. Fu così che la Difesa del popolo omise di pubblicare la rubrica sindacale, sostituendola con una campagna contro la bestemmia ed il ballo.
Le cose precipitarono nell’aprile del 1921, mentre la propaganda e lo squadrismo fascista si facevano minacciosamente sentire e tra socialisti e comunisti si produceva un’irreparabile frattura. Il capo del governo Giovanni Giolitti pensò di approfittare della situazione, inducendo il re a sciogliere le Camere e ad indire nuove elezioni. Febbrili consultazioni si aprirono all’interno del Partito Popolare per definire la lista dei candidati. Ma non un posto si trovò per il professor Schiavon, per il deputato uscente in grado di attirare gran parte dei voti del collegio elettorale. Non era più il tempo dello strapazzasiori. Al suo posto fu indicato Leopoldo Ferri, noto possidente terriero e vicepresidente del Credito Veneto. Leopoldo Ferri che, una volta eletto, sarà espulso nel 1924 dal partito, perché voterà a favore di Benito Mussolini.
Si concluse così, in maniera rapida e dolorosa, la tumultuosa storia politica di Sebastiano Schiavon. Così come ebbe termine la sua vita, la vicenda umana di uno straordinario interprete del vangelo del pane. Colpito, pochi mesi dopo il tramonto politico, da una grave malattia al fegato, morì il 30 gennaio 1922. A 38 anni la sua vita generosa e tragica fu, a suo modo, esemplare di un’epoca e delle sue contraddizioni. Agli inizi del ‘900 in Italia, per una serie di concomitanze, prese avvio il percorso della sinistra sociale cattolica. Percorso che si realizzò a prezzo di rotture e lacerazioni che coinvolsero pesantemente il mondo cattolico e anche l’organizzazione ecclesiastica. Come la rapida ascesa politica di Sebastiano Schiavon, così la sua brusca liquidazione furono il contraccolpo di tensioni fortissime che attraversarono le più alte gerarchie vaticane. Non a caso, due anni dopo nel 1923, sua eccellenza monsignor Pellizzo, ispiratore e mentore del professore, venne rimosso dall’incarico di vescovo di Padova e “promosso” al rango di economo della fabbrica di S. Pietro.
La chiesa padovana pagò, dunque, un pesante tributo al suo diretto coinvolgimento nella lotta politica. Ma, in quegli stessi anni, nella nostra regione, grazie all’azione della chiesa, si creò quella nuova classe dirigente che, sotto l’egida della Democrazia Cristiana, dominò la scena sociale e politica dal dopoguerra alla fine del XX° secolo. La Chiesa-partito nacque allora e Sebastiano Schiavon ne fu protagonista e vittima insigne.
Oggi che la storia del cattolicesimo, organizzato in partito, si è conclusa, si può con maggiore distacco e lucidità, riflettere su quella storia padovana, veneta ed italiana insieme. Come ha fatto recentemente Massimo Toffanin, ricostruendo con acume analitico, la figura umana e politica di Sebastiano Schiavon, prematuramente scomparso e troppo presto dimenticato.
A chi abbia la pazienza di rileggere la sua storia il professore di Ponte S. Nicolò, il deputato strapazzasiori, lascia però, al di là delle ricostruzioni ed interpretazioni storiche, un messaggio di grande, ordinaria attualità.
E’ quello impresso nella sua vita di uomo, di politico:
- del servizio ai povere e ai diseredati
- della capacità di anticipare il futuro
- della coerenza coraggiosa tra fede e opere, tra vangelo e pane
prof. Giovanni Ponchio
*Altre notizie si possono leggere nel libro di Daniela Borgato «PONTE SAN NICOLO’ storie di uomini, terre, chiese, mulini»